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Lo spot virale della Honda Accord e la forza delle storie

Lo spot virale della Honda Accord e la forza delle storie
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07/11/2017

Un oggetto non è mai solo un oggetto.
Questo ci insegna lo spot della Honda Accord diventato virale grazie ad un video emozionale e ad uno storytelling unico

Lo spot virale della Honda Accord e la forza delle storie

Un oggetto non è mai solo un oggetto. Questo ci insegna lo spot della Honda Accord diventato virale grazie ad un video emozionale e ad uno storytelling unico

Impossibile non essersi imbattuti nello spot virale della Honda Accord. Impossibile non pensare ad altri magnifici esempi di Storytelling aziendale, di cui avevamo già parlato in un precedente articolo, dove ne spiegavamo la forza persuasiva e la capacità di arrivare dritto alla pancia del consumatore, mettendo al centro della narrazione i suoi sentimenti, i sogni, le paure, le speranze. Lo storytelling, lo avevamo già scritto, non ha a che fare con il prodotto, ma con il suo fruitore. La narrazione dà agli oggetti poteri straordinari, come una sorta di bacchetta magica capace di trasformare una zucca in una sfarzosa carrozza.

Il lusso è uno stato mentale

"My girlfriend needs to sell her car". Inizia così lo spot, ormai diventato virale, della Honda Accord, datata 1996 con oltre 200 mila chilometri sotto le ruote. A girarla è il videomaker Max Lanman. Non uno sprovveduto, al contrario, Max è laureato a Yale ed è CEO di un'agenzia di comunicazione in California, autore di spot per brand dai nomi altisonanti, come Microsoft e Haagen - Dazs, solo per citarne due a caso, e regista del celebre show americano Sesame Street in onda su HBO. La sua mission professionale è esplicitata nella bio del suo sito ufficiale: "to tell stories that offer people new perspectives".

Raccontare storie, dunque, affinché la gente guardi il mondo da una prospettiva nuova, aiutandola a sviluppare il pensiero laterale, a fare come i bambini che guardano il cielo a testa giù, dando alle nuvole forme bizzarre. Nessuno meglio di lui avrebbe potuto prendere un'auto così vecchia, dal valore di appena 499 euro, e trasformarla in uno status symbol da più di 50 mila euro. Come ha fatto? Ha inventato una storia per renderla desiderabile, perché decidendo di comprarla, la gente avrebbe comprato un'esperienza, un passato e con qualche probabilità e un buon meccanico, anche un futuro.

"Ti presento la Honda Accord del 1996. Un'auto per chi ha realizzato la sua vita e sta per arrivare da qualche parte. Il lusso è uno stato mentale"

Max con grande abilità, un uso sapiente di filtri, droni ed action cam, ci conduce in questo stato mentale, capovolgendo i nostri schemi di giudizio, decostruendo le nostre griglie interpretative, portandoci a desiderare di guidare questa vecchia auto come se fosse una Jaguar. Ecco, il lusso non è possedere cose di valore, ma è il valore intrinseco degli oggetti che usiamo.

Tu chiamale, se vuoi, emozioni

Esattamente come l'esperimento della palla di pezza di Rob Walker e Joshua Glenn, il racconto costruito ad arte da Lanman ha assegnato all'oggetto un valore economico che le sue caratteristiche tecniche non giustificano. Insomma, perché pagare 50 mila euro per una macchina che ne vale appena 500?

"Tu sei diversa, tu fai le cose a modo tuo e questo fa di te una persona unica. Tu non hai bisogno delle cose, tu hai già te stessa (...) Non apprezzi le cose per come appaiono, le apprezzi perché funzionano. E questa non è un'auto. Questa sei tu, è una scelta. La tua scelta."

La protagonista dello spot virale è Carrie Hollenbeck, ha i capelli raccolti alla meno peggio, una felpa, beve un'enorme tazza di caffè bollente mentre guida la sua amata berlina tra le curve della Highway della Pacific Coast, con lei un gattone dal muso decisamente familiare. Si ferma a guardare il tramonto, seduta sul cofano. Chissà a cosa sta pensando Carrie? Chissà a cosa penseremmo noi se fossimo lì? Forse alla prima volta che abbiamo comprato quell'auto, al primo giro con le amiche o quando l'abbiamo graffiata perché andavamo di fretta al colloquio di lavoro per cui alla fine hanno scelto il nipote del capo. Forse penseremmo a come ci sentiremo tristi dopo averla venduta o faremmo una lista mentale delle cose da comprare con i soldi guadagnati. Non importa. Tutto ciò che ci serve sapere è racchiuso in quel minuto e 12 secondi. E non è un'informazione, è un'emozione.

 

L'arte dello storytelling

Su eBay le offerte non si sono fatte attendere e se vi state chiedendo cosa ha comprato Carrie con i soldi guadagnati dall'asta online, la risposta è un'auto ibrida da 30 mila euro circa. Giusto per smontare il romanticismo. Lo spot è rimbalzato sui social e sulle testate di mezzo mondo, prima con toni decisamente entusiastici, come si fa per l'uscita di certe pellicole, "geniale" "capolavoro" "lo spot più bello degli ultimi 150 anni", per poi finire in polemica al grido di "è tutto finto" o "ci hanno preso in giro".

Ci dicono, infatti, che quella che vediamo nel video non è la vera Carrie ma l'attrice, star del web, Anne Marie Avey, che il gatto è un "attore", anch'esso popolare su Youtube - Non diteci che non avete riconosciuto Papa Puff Pants? - e che la Honda non ha mai solcato le strade della Pacif Coast prima del video. Insomma, lo spot è virale sì, ma perché si basa su una bugia. Vi sentite indignati? Presi in giro? Perché se così fosse, dovreste provare lo stesso di fronte agli spot della Apple o della Nike, dopo aver comprato un pacco di pasta Barilla o bevuto una lattina di Coca Cola.

Ma vogliamo credere non siate consumatori così ingenui.

Nel cinema si chiama "sospensione dell'incredulità" e indica una sorta di tacito patto tra il narratore e lo spettatore per cui questo sospende i propri dubbi e il proprio giudizio critico per assaporare l'opera semplicemente così com'è. Sappiamo che quello che la storia ci racconta non è reale, ma ne godiamo lo stesso, abbandonandoci totalmente ad essa. Mica davanti ad un film della Marvel o della DC Comics vi siete alzati in piedi gridando "Non è possibile, come fa un uomo a volare o a sparare ragnatele dai polsi?"

Non siamo stupidi. Al contrario, siamo come i pesci di Jonathan Gottschall, abbiamo bisogno delle storie come l'acqua per vivere. "L'isola che non c'è è la nostra nicchia evolutiva, il nostro habitat speciale. Siamo attratti dall'Isola che non c'è perché, tutto sommato, è qualcosa di positivo per noi. Nutre la nostra immaginazione; rinsalda i comportamenti morali; ci dà dei mondi sicuri nei quali possiamo fare pratica. Le storie sono il collante della vita sociale umana, definiscono i gruppi e li tengono saldamente uniti."

Che importa se sono finte. Lo sono anche le favole dei Fratelli Grimm eppure non smettiamo mai di raccontarle e di farcele raccontare.

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