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A tu per tu con Mirko Saini e il mondo di LinkedIn

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03/01/2018

Quanto pensate di saperne di LinkedIn? Prima di rispondere, leggete la nostra intervista all'esperto di Linkedin, Mirko Saini.

A tu per tu con Mirko Saini e il mondo di LinkedIn

Quanto pensate di saperne di LinkedIn? Prima di rispondere, leggete la nostra intervista all'esperto di Linkedin, Mirko Saini.

Abbiamo avuto il piacere di fare un'interessante chiacchierata con Mirko Saini, LinkedIn & Social Selling Trainer. Partendo dall'approccio giusto che un'azienda dovrebbe avere con questa piattaforma, siamo arrivati ad affrontare la relazione tra i giovani e LinkedIn, mettendo in evidenza l'importanza di iniziare ad essere presenti su questo social il prima possibile.

Questi e tanti altri spunti nella nostra intervista. Buona lettura!

Ciao Mirko, partiamo subito da un tema interessante che riguarda questo social. Molte aziende sottovalutano LinkedIn, non utilizzandolo o utilizzandolo nel modo sbagliato. Ti chiediamo 3 consigli che daresti ad un'azienda per utilizzare al meglio questa importante piattaforma.

Negli ultimi tre anni sono aumentate molto le iscrizioni su LinkedIn, ma ci sono immense “praterie” davanti poiché le persone e le aziende che utilizzano LinkedIn bene sono pochissime.

Il primo consiglio è avere un piano. Chi si confronta con LinkedIn deve strutturare un piano che preveda cosa fare del contatto, dal momento in cui viene acquisito, per portarlo fuori dalla piattaforma. Infatti, LinkedIn è più adatto a una logica vicina al social selling (processo di vendita che porta ad accrescere i propri contatti e a raggiungere potenziali clienti, attraverso l'utilizzo dei social, ndr) che al social media marketing.

Il secondo consiglio è quello di coinvolgere le persone che lavorano in azienda, che hanno a che fare con il cliente nelle diverse fasi di un processo di vendita (customer care, logistica, commerciale, marketing,..). LinkedIn è strutturato per far interagire le persone attraverso i profili personali e questo lo differenzia molto dagli altri social network dove, invece, è possibile fare marketing utilizzando account aziendali senza l'interazione, e quindi l'inserimento in questa strategia, tra gli account personali. Su LinkedIn questo non è possibile per i seguenti motivi: in primis perché ci troviamo in un ambiente dove tutto è business, e quindi anche i profili personali sono calati all'interno di un contesto business, e poi perché la maggior parte degli strumenti - potrei dire azzardando molto, al 80-90% - sono appannaggio dei profili personali e le company page possono fare veramente poco. Se non si coinvolgono i profili personali, cioè delle persone che in quell'azienda ci lavorano, si riescono a ottenere risultati deboli.

Il terzo consiglio è quello di andare a formare, o meglio a strutturare, come guardare chi è presente sulla piattaforma e come si presenta; guardare se effettivamente viene utilizzato in maniera opportuna. Questo punto è fondamentale per il fatto che, a differenza degli altri social di cui posso tranquillamente disinteressarmi, su LinkedIn non posso permettermi di trascurare e non controllare i profili delle persone che lavorano nella mia azienda perché ogni profilo rimanda all'azienda per cui lavora. È come quando un proprio dipendente o un proprio collaboratore consegna il biglietto da visita, rappresentando in quel momento l'azienda davanti al cliente con cui sta colloquiando. Per questi motivi, mi preoccuperai di dare un minimo di formazione ai miei dipendenti nell'approccio con questa piattaforma.

Se un'azienda è interessata ad utilizzare LinkedIn è opportuno che vada a “controllare” chi la rappresenta nella piattaforma. Lo consiglio come “piano di difesa”: controllate cosa c'è e, eventualmente, correggete. Formare, insomma, le persone ad un utilizzo consapevole della piattaforma e delle tecniche di social selling.

Per il discorso affrontato inizialmente sulla situazione di LinkedIn in Italia, sulle famose “praterie”, ci troviamo davanti ad aziende che non sono formate ad un utilizzo consapevole ma allo stesso tempo gli iscritti sono dieci milioni e mezzo, di cui tre milioni e mezzo utenti attivi e non parliamo di meccanici o casalinghe, ma di professionisti come manager di importanti realtà.

Abbiamo approfondito il rapporto con LinkedIn dal punto di vista delle aziende. Ad un privato e/o ad un professionista, invece, cosa consigli per utilizzarlo al meglio?

Le cose principali che anche un professionista deve tenere in considerazione, proprio dal punto di vista pratico, sono tutte quelle attività di cui abbiamo parlato: le stesse cose consigliate ad un'azienda ma chiaramente tenendo conto del fatto che il professionista deve solo rispondere a se stesso, senza preoccuparsi di qualcuno che porta in giro il suo brand.

Appurato questo, come consigli pratici, direi di guardare chi è il tuo cliente, analizzandone le caratteristiche principali, e concentrarsi sulle parti fondamentali di un profilo: la headline e il summary.

La headline non deve contenere ciò che viene scritto sul biglietto da visita ma ha lo stesso “ruolo” del titolo di un articolo del giornale che sfogliamo la mattina mentre beviamo il caffè: noi sfogliamo il giornale e leggiamo un articolo in funzione del titolo perché è il titolo che ci convince dell'utilità delle informazioni che potremmo trovare continuando la lettura. Questo stesso principio è valido per la headline del nostro profilo LinkedIn: leggendo quella parte specifica, vedo e intuisco buona parte delle informazioni in pochissimi millesimi di secondi. È proprio quella parte che mi spinge a fare clic per guardare il profilo o, al contrario, ad andare oltre.

Per questo, inserire nell'headline la posizione rivestita nell'organigramma aziendale, quello che normalmente si mette nel biglietto da visita, spesso non fa comprendere agli altri utenti ciò che noi possiamo fare per loro.

L'altro suggerimento è quello di andare a costruire un riepilogo, o summary (a seconda della lingua impostata), perché è la sezione dove possiamo raccontare, o spiegare, ciò che possiamo fare, come lo possiamo fare, in che modo lo facciamo, cosa ci differenzia dai nostri concorrenti e via dicendo. È una sorta di landing page che può essere utilizzata per spiegare agli altri, al nostro potenziale cliente, che cosa posso fare per lui. Poi ovviamente ci sono altre parti importanti come la sezione delle esperienze lavorative, ma sono informazioni che spesso non vengono neanche lette se l'headline e il summary non lavorano nel modo giusto.

Rispetto all'utilizzo di Linkedin che si fa all'Estero, rispetto all'Italia tu trovi delle differenze?  

Nel marketing in generale, quando andiamo a leggere tutto ciò che funziona oltreoceano e cerchiamo di applicarlo alla nostra realtà ci rendiamo conto che non è assolutamente la strada percorribile perché noi abbiamo un tipo di mentalità proprio italiano che si differenzia per alcune caratteristiche, non permettendoci di andare ad applicare quei modelli. Stesso discorso per LinkedIn: mi accorgo che ciò che viene postato, scritto e insegnato dai miei colleghi oltreoceano sono tutte cose che da noi non funzionerebbero nella maniera più assoluta perché gli italiani, lo dico molto chiaramente, sono immersi, fin dalla nascita, in un mercato nel quale c'è “sempre qualcuno che vuole fregarlo”.  

Come professionisti, abbiamo moltissime barriere davanti che devono essere piano piano fatte abbassare e serve molta più pazienza e acume rispetto al mercato estero dove, in generale, c'è una fiducia di fondo sul prossimo e un senso di correttezza assoluto verso l'altro. Ricordo che all'inizio, quando mi sono approcciato al marketing in generale e successivamente a LinkedIn, la prima cosa che dovevo fare era di smettere di guardare ai modelli che vengono insegnati oltreoceano perché non erano assolutamente applicabili da noi. Si aveva sempre la sensazione “ma questa cosa qui da noi non funzionerà mai perché troppo semplice”, quasi come se stessimo parlando di “creduloni”. Il punto è che noi diamo a loro questo tipo di epiteto ma la verità è che loro sono così perché sono meno abituati ad essere “fregati”.

Come ti sei avvicinato a questo strumento? È stato un amore a prima vista o te ne sei appassionato con il tempo?

Io nasco come digital strategist all'interno di alcune aziende B2B dove, in funzione di quello che era il processo di vendita, mi occupavo di supporto con gli strumenti digitali tra ovviamente, essendo B2B, rientrava anche LinkedIn. Successivamente, LinkediIn è diventato sempre di più una parte importante di quella che era la mia formazione, la mia strategia, fino ad assorbire quasi la totalità del tempo.

Adesso, faccio quasi un processo inverso: entro dentro l'azienda spiegando LinkedIn per poi incastrarlo con altri “pezzettini” con l'obiettivo di costruire una strategia marketing; una strategia che preveda appunto un'analisi di costruzione per uno processo di vendita.

Questo è stato il percorso che mi ha portato ad occuparmi di LinkedIn che da tre anni assorbe il 100% del mio tempo. E quando le aziende mi chiedono consigli su altri social network, poiché chiaramente potrebbero entrare nella strategia, non faccio altro che segnalare nomi di colleghi come ad esempio Veronica Gentili per Facebook.

Proviamo a fare una previsione sul futuro di LinkedIN. Come vedi il futuro di questa piattaforma, anche rispetto agli altri social?

Provare a ipotizzare un futuro per i social network è sempre molto "rischioso". Quello su cui possiamo ragionare è che, giusto un anno fa, Microsoft ha acquistato LinkedIn e attualmente la maggior parte degli utenti di questa piattaforma non ha ancora visto nulla di quelle che possono essere le integrazioni con il mondo Microsoft (Microsoft ha integrato LinkedIn nei suoi prodotti e solo i clienti Microsoft hanno già visto qualche novità). Mi aspetto di vedere un'integrazione che parta dall'utente LinkedIn per avvicinarlo a quello che è il mondo Microsoft e al mondo Office 365 e al CRM Dynamics. Credo che questa possa essere la strada che è già un po', soprattutto negli ultimi due anni, delineata. LinkedIn si è scrollato di dosso quella che era la patina di un social network molto formale, molto rigido e con strumenti poco usual friendly, per avvicinarsi di molto al concetto di social network che anche la persona di strada conosce. Questo si vede anche nel tipo di "conversazioni da strada" che, se prima avvicinavano il social più all'istituzionale e al formale, adesso lo associano molto di più al concetto di social network con i pro e i contro che chiaramente questo va a comportare.

Rispetto agli altri social, come Facebook e Instagram, rimaniamo ancora su due pianeti diversi perché su LinkedIn non si comprendono appieno le dinamiche secondo cui “tutto ruota intorno alla persona, anche dal punto di vista business”, che è sostanzialmente e paradossalmente l'aspetto che più lo avvicina a quelle che sono le dinamiche reali della vita analogica. Questo fa sì che LinkedIn risulti più complesso da utilizzare. La maggior parte delle aziende hanno formato la loro idea di digital marketing e social media marketing su Facebook in primis, secondo un modello che va benissimo anche per Instagram e Twitter, ma hanno difficoltà a travasare questo modello su LinkedIn. Tornando al discorso iniziale, vedo proprio che ci sono delle grosse difficoltà da parte delle aziende perché non capiscono che devono coinvolgere lo staff .

A livello di Adv?

Per quanto riguarda l'advertising, LinkedIn paga di fondo un aspetto molto rilevante che è quello dei costi elevati, parliamo dai due ai quattro euro a clic. Ci avviciniamo a quelle che possono essere le categorie più inflazionate di Google AdWords, cioè lontane dal concetto di costo al contatto CPC o CPM di un social network come Facebook dove si riesce ad arrivare anche a 0,07-0,08 € per clic. Poi bisogna pensare che Linkedin ha costruito questo modello di business per realtà grandi, caratterizzate da alti budget, tipiche del mercato statunitense e che quindi non vanno bene per quello che è il mercato italiano, frammentato in piccole e medie aziende abituate a pagare poco il costo per contatto. Su LinkedIn l'efficacia dell'adv passa attraverso la costruzione della reputazione dell'azienda e delle persone che ci lavorano che porta ad un abbassamento del costo a contatto. Se la reputazione è bassa devo mettere la mano al portafoglio e con il costo che ha LinkedIn si rischia molto spesso di fare un “bagno di sangue”.

Le nuove funzionalità di LinkedIn dedicate al business, come le Pagine Carriera, pensi possano aiutare la comunicazione di un brand e implementare il corporate storytelling? Pensi sia efficace come operazione?

Sì, a patto che prima venga fatto tutto ciò che è in loro potere per aumentare la reputazione del brand e, ripeto, dalle persone che ci lavorano fino alla rete commerciale.

Se non lavoro prima sulla reputazione delle persone, che verranno viste prima su LinkedIn ma poi che poi il cliente vedrà dal vivo in ufficio, tutto ciò che ci sta dietro - la parte di social media marketing, branding, adv e quant'altro - sarà chiaramente poco efficace. In Italia, la maggior parte delle realtà non si porta dietro forze di brand, ovviamente non parliamo di brand forti come Apple che non hanno bisogno di questo, ma della Pippo Pluto Paperino s.r.l. che magari fattura cento milioni di euro senza un brand così forte alle spalle. Per questo, è importante lavorare molto su quella che è l'efficacia della persona che fa parte di un'azienda, portandola a rendersi credibile agli occhi del cliente in modo tale da conquistare un appuntamento.

LinkedIn serve per questa fase, soprattutto quando ci troviamo in mercati competitivi dove le aziende non hanno un brand così forte e rinomato da poter tralasciare la reputazione di chi la rappresenta.

Secondo te LinkedIn è uno strumento efficace per tutti i tipi di aziende?

No, bisogna vedere un po' caso per caso.

Facciamo un esempio: prendendo sempre in considerazione il fatto che non parliamo di aziende ma di persone, poniamo il caso in cui mi debba rivolgere alla persona che riveste il ruolo di responsabile di produzione all'interno di un'azienda e che rappresenta quindi la persona sulla quale devo agire. Chi riveste il ruolo di responsabile di produzione storicamente fa fatica a essere su LinkedIn. Quindi, anche se l'azienda è B2B ed è presente su LinkedIn probabilmente non troverò, tra i dipendenti presenti sulla piattaforma, il responsabile di produzione ma altre figure professionali. Automaticamente, mancando il mio interlocutore, LinkedIn non rappresenta un buon territorio. Viceversa, con lo stesso target ma con un altro tipo di prodotto e ambito, a cui corrisponde un'altra figura professionale come ad esempio il manager (professione presente su LinkedIn), il discorso è diverso perché sarà uno strumento efficace.

Quindi, più che per settori bisogna guardare e ragionare per figure professionali, se sono più o meno presenti.

Per quanto riguarda i professionisti, invece, chiunque se non utilizza LinkedIn vuol dire che, a mio parere, non ha capito nulla delle opportunità che ci sono, quindi direi sicuramente tutto il mondo finanziario.

Come vedi la relazione tra i giovani, fascia dei 18-20 anni, e l'utilizzo di LinkedIn? Che opportunità vedi per loro da questo punto di vista?

Considerando l'importanza della reputazione, che è fondante rispetto a quello che poi uno va a fare, prima la si comincia a costruire, nel digital, meglio è. Io consiglio di iniziare a costruire il proprio profilo LinkedIn già dagli anni dell'università, ma di utilizzarlo non come se fosse una bacheca dove appiccicare il proprio cv, che in quel momento non ha, ma come un sostegno per comunicare e prendere familiarità con il mondo del lavoro. Apprendere da un lato e farsi vedere dall'altro, esprimendo la propria opinione su determinati argomenti.

Ripeto, prima lo si fa, meglio è. Ultimamente, ho avuto modo di vedere nelle Università in cui sono stato che tra i ragazzi c'è la voglia di utilizzare LinkedIn non più come veniva utilizzato 4/5 anni fa, quando veniva considerato appunto come la bacheca dove affiggere i propri cv, ma in modo un pochino più proattivo.

Oggi, secondo me, viviamo nella miglior situazione possibile per una persona che si introduce nel mondo del lavoro perché è vero che, rispetto ai tempi dei miei genitori, è sicuramente più difficile però rispetto ai miei tempi ci sono molte più opportunità di creare e trovare contatti, di aumentare la propria visibilità e di far sapere agli altri che si sa, indipendentemente dal settore. 

Se tu avessi oggi 18-20 anni e dovessi scegliere un tuo percorso professionale sui social, pensi che prediligeresti comunque LinkedIn?

Assolutamente sì.

Come vedi il termine “influencer” associato al tuo nome?

Il mio lavoro è quello di entrare all'interno dell'azienda e insegnare ai professionisti ad utilizzare LinkedIn. Quindi, non mi vedo come un influencer.

 

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